amb_BAL’Argentina si dice che sia un Paese formato metà da spagnoli e metà da italiani. In nessun altro caso, nonostante la lontananza e un oceano in mezzo, le caratteristiche e il modo di vivere tra i due popoli è molto simile. L?inizio delle relazioni diplomatiche iniziano negli anni venti del secolo scorso. Scopriamone di più.

Nel 1923, quando il conte Aldrovandi Marescotti giunse a Buenos Aires, la presenza italiana in Argentina era diffusa ovunque, e le relazioni tra i due Paesi attraversavano una fase di amicizia e prosperità. Meno di cent’anni prima, Giuseppe Garibaldi aveva portato sul Rio della Plata una ventata di Risorgimento.

Sbarcando a Buenos Aires, l’Ambasciatore Aldrovandi Marescotti scoprì che i cognomi italiani riempivano l’intera storia argentina. Belgrano, Alberti, Castelli, Beruti, “padri illustri” della patria argentina, avevano tutti un avo italiano.

Nelle atmosfere eleganti di Buenos Aires – il cui nome deriva da quello della Madonna di Bonaria, protettrice dei naviganti sardi – l’influenza italiana si mescolava a quella inglese e francese. Nel 1813 un musicista italiano, Giovanni Riccazarri, aveva diretto l’orchestra che per la prima volta suonò in pubblico l’inno argentino, e già nel 1855 il re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, aveva sottoscritto un trattato di Amicizia, Commercio e Navigazione con la neonata Confederazione Argentina. La fisionomia di Buenos Aires portava giá il segno indelebile lasciato degli architetti italiani, ai quali si devono molti degli edifici piú belli della capitale. E mentre gli imprenditori italiani facevano affari come in pochi altri paesi del mondo, le associazioni dei connazionali animavano la vita culturale e sociale delle principali città argentine.
Nonostante questo fervore, la Rappresentanza del Regno d’Italia a Buenos Aires era ancora una semplice “legazione”. Nel 1924, l’Italia decise di elevare la sede diplomatica al rango di Ambasciata, per sottolineare il carattere prioritario acquisito dall’Argentina e, più in generale, dall’America latina. Aldrovandi Marescotti, già capo di Gabinetto di Sidney Sonnino dal 1914 al 1919, divenne il primo “Ambasciatore” italiano in Argentina. Pochi mesi dopo aver presentato le credenziali come “Ministro”, Aldrovandi Marescotti ritornò dal Presidente Alvear nel nuovo rango di Ambasciatore. In quell’occasione, il diplomatico italiano annuncerà al Presidente argentino l’imminente visita del Principe Umberto II di Savoia. Si racconta che durante il colloquio venne discussa anche l’opportunità di trasferire la sede dell’Ambasciata d’Italia, allora situata in una zona tutt’altro che nobile della città. L’elevazione della Rappresentanza al rango di “Ambasciata” e la visita del Principe di Savoia rendevano urgente reperire una sede nuova e adeguata. Il presidente Alvear sapeva che un suo lontano parente aveva deciso di vendere una splendida magione di stile francese, che sicuramente sarebbe stata di gradimento del principe Savoia. Federico Bosch Alvear, esponente di un ramo della famiglia dell’allora Presidente argentino, era un cultore dell’arte francese. Trascorreva buona parte dell’anno a Parigi e conservava tra i suoi libri preferiti il “Nouveau Précis” e “Les elements et théorie de l’architecture”, di Jean Nicolas Durand e Julien Gaudet.
La sua passione per l’architettura transalpina lo aveva indotto a costruire una splendida residenza che rispettava perfettamente i canoni dell’Ecole des Beaux-Arts. Tuttavia, nonostante la bellezza dell’edificio e il capitale investito, rimase deluso dall’ingresso della magione – che avrebbe preferito non obliquo ma frontale rispetto alla prestigiosa Avenida Libertador – e decise di venderla, senza avervi soggiornato neppure una notte. La sua immagine rimane scolpita sul portone d’ingresso affiancata da quelle delle figlie, una delle quali porta la corona in quanto contessa per matrimonio. Quando firmarono l’atto di trasferimento immobiliare per nove milioni e mezzo di lire, l’Ambasciatore Aldrovandi Marescotti e Federico Bosch-Alvear intuivano appena l’importanza che l’edificio avrebbe assunto nei successivi decenni. Quelle sale, infatti, sarebbero divenute crocevia della politica estera italo-argentina, luogo di incontro fra esponenti di entrambi i governi, sede di eventi culturali e sociali. Da allora in poi, gli Ambasciatori d’Italia avrebbero lavorato in quell’edificio per trasformare la naturale affinità tra il popolo argentino e quello italiano in una collaborazione operosa fra i rispettivi Governi.

La Residenza

L’edificio che attualmente ospita l’Ambasciata d’Italia a Buenos Aires risale ai primi anni Venti del secolo scorso. Di stile squisitamente francese, è situato nel quartiere residenziale di Palermo, uno dei più eleganti di Buenos Aires. L’arredamento dell’Ambasciata e della Residenza, nonché alcune sculture esterne, fu inviato dall’Italia nel 1924, per adeguare la nuova Rappresentanza diplomatica alla visita del Principe Umberto di Savoia.

Le relazioni tra i due Paesi

Da quasi un secolo il salone d’ingresso della Residenza dell’Ambasciatore d’Italia è crocevia di incontri politici, sociali, economici e culturali. Lì, sotto lo sguardo attento e curioso della “Gentildonna” ritratta nel quadro appeso alla parete, si sono strette la mano centinaia di persone. Il semplice elenco riempirebbe pagine intere. Dopo la visita del Principe Umberto II nel 1924, la prima personalità della Repubblica a visitare l’Argentina fu il conte Sforza. Inviato da De Gasperi nel 1946 per portare ai connazionali il “saluto della Patria vicina”, veniva a raccogliere anche la solidarietà del Governo argentino in quei difficili momenti del dopoguerra. Tra il 1947 e il 1951 giunsero in Argentina 412.000 italiani, gli ultimi di un sensazionale flusso emigratorio.